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il treno volante 203

Uno portava ancora quattro frecce infisse nel tessuto di seta; gli altri due avevano due lunghi strappi prodotti dalle lance dei negri.

— Leviamoli — disse Ottone. — Ci scaricheremo d’un peso inutile.

— Basteranno gli altri? — chiese Matteo.

— Ne abbiamo perfino troppi e potremo caricare ancora sei o sette quintali, pur conservando della zavorra.

I tre palloni, che, come fu detto, erano interamente vuoti, furono strappati; poi Ottone saldò la manica di gomma ad un cilindro e cominciò il gonfiamento degli altri.

Tutti avevano perduto una parte notevole d’idrogeno e nella parte inferiore avevano delle pieghe considerevoli, le quali però ben presto scomparvero.

Quell’operazione molto delicata richiese quattro lunghe ore; poi la tela che avvolgeva lo scheletro del treno aereo fu ricollocata a posto e chiusa nella parte inferiore.

Il Germania, così rinforzato, poteva continuare ora il viaggio fino al Kassongo, mantenendosi ad un’altezza considerevole e portando anche con sè una mezza tonnellata di zavorra.

— Abbiamo ancora idrogeno? — chiese Matteo.

— Ancora un cilindro, che conserveremo gelosamente — rispose Ottone. — Ci servirà per il ritorno.

— Facciamo colazione, poi ripartiremo.

— Senza visitare l’isola?

— Non bisogna perdere tempo — disse El-Kabir. — Altarik ha già attraversato il lago e forse è già molto lontano.

Heggia aveva già macellata la seconda capra e ne aveva messo un bel quarto ad arrostire. Avendo poi veduto delle banane e dei datteri freschi, ne aveva raccolti parecchi.

Gli aeronauti, molto affamati, si stesero sulla fresca erba e si misero a mangiare con molto appetito, tenendo gli sguardi sul Germania, il quale si dondolava sotto i soffi della brezza.

Avevano già accese le loro pipe, quando la loro attenzione