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il treno volante 61

di pagazi, ossia portatori negri arruolati a Zanzibar o sulla costa, carichi di mercanzie, stava guadando il fiume sopra un ponte sospeso formato di bambù intrecciati e sostenuti da solide liane attaccate ai tronchi di alcuni sicomori.

Vedendo il treno aereo, gli arabi si erano arrestati brandendo i loro lunghi fucili, mentre i negri, più paurosi e più superstiziosi, si erano precipitati nel fiume abbandonando i loro carichi sul ponte.

— Stanno per prenderci a colpi di fucile — disse il greco.

— Le loro palle non giungeranno fino a noi — disse l’arabo. — Hanno dei fucili pessimi.

— Che sia qualche carovana di Altarik? — chiese il tedesco, il quale per precauzione aveva posto in moto le eliche per spingere il treno volante verso la foresta.

— È probabilissimo — rispose l’arabo. — Altarik manda numerose carovane a Taborah e anche più oltre.

In quel momento, proprio quando il pallone si trovava sopra gli arabi che si tenevano raggruppati sul ponte, un oggetto cadde dalla piattaforma, piombando velocemente nel fiume.

El-Kabir si era voltato bruscamente chiedendo:

— Cos’è caduto?

— Mi è sfuggita la bottiglia di ginepro — disse Sokol, il quale stava retrocedendo precipitosamente.

— No, la bottiglia del ginepro è qui — disse Heggia. — L’ho messa io sulla cassa.

— Allora era una piena di rhum — disse Sokol turbatissimo. — Perdonatemi, padrone.

— Potevi far partire una scarica da parte degli arabi. Un’altra volta sii più prudente.

— Sì, padrone.

Il Germania intanto era passato oltre senza che gli arabi avessero osato far fuoco. Tutta la loro attenzione era stata attratta da quella bottiglia, anzi parecchi si erano slanciati in acqua per prenderla.