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76 Capitolo Settimo.

ghe foglie delle victoria che proiettavano un’ombra sufficiente ad ingannare i pesci.

Due scosse li avvertirono ben presto che la cena era assicurata. Ritirarono con precauzione le lenze e s’impadronirono di due grossi traira, pesci che abitano le paludi e le savane, colla bocca larghissima armata di denti acutissimi ed il groppone nero.

Incoraggiati da quel primo successo avevano tornato a lanciare gli ami, quando con loro grande sorpresa udirono, sotto le acque, un ruggito strano e prolungato, come se fosse uscito dalla gola d’un leone.

— Avete udito signor Alvaro? — chiese il mozzo.

— Per Bacco! Non sono sordo.

— Era un ruggito, è vero?

— Sì, Garcia.

— E veniva dal fondo della palude.

— Dall’alto no di certo.

— Chi può averlo mandato?

— Qualche pesce di nuova specie, forse.

— Deve essere ben grosso.

— Piccolo no di certo, ragazzo mio.

— Se fosse invece qualcuno di quegli enormi serpenti?

— Era venuto anche a me questo sospetto.

— Oppure un caimano?

— Sarebbe tornato a galla a respirare, mentre non ne vedo. —

In quel momento il mozzo provò una scossa così vigorosa, che per poco non fu trascinato nella palude.

Qualche pesce enorme doveva aver inghiottito l’amo e nel tentare di fuggire, aveva dato quello strappo.

Alvaro aveva appena avuto il tempo di trattenere il mozzo.

— Lascia andare la lenza! — gridò.

La funicella e la canna scomparvero subito sott’acqua, mentre una tromba d’acqua e di fango si sollevava dalla palude, rovesciandosi addosso ai due naufraghi, seguita da un ruggito più formidabile del primo.

— Perdinci!... — esclamò Alvaro, saltando rapidamente indietro. — È scoppiata una mina in fondo alla palude?

— Altro che una mina, signore, — disse Garcia. — Ho veduto, in mezzo al fango agitarsi una coda grossa come le vostre coscie. —

Era una di quelle bestiacce che avete ucciso sulle rive dello stagno e che per poco non mi divorava.