Vai al contenuto

Pagina:Salgari - La Città dell'Oro.djvu/128

Da Wikisource.
120 la città dell'oro

— Cosa c’è ancora? — chiese Alonzo alzandosi. — Delle altre testuggini che vengono a deporre delle uova?

— Vediamo, — disse don Raffaele, balzando in piedi. — Potrebbe esservi qualche serpente.

Alonzo l’aveva già preceduto e aveva già raggiunta la macchia. Vi gettò entro uno sguardo, ma tosto indietreggiò facendo un gesto di ribrezzo ed esclamando:

— Oh! l’orribile rospo!...

— Cos’è? — chiese don Raffaele, avvicinandosi ai mucusumù. — Ah! Un pipa!...

— Una pipa! Ma che pipa! È un rospo, cugino mio, e dei più brutti.

— Ma dei più interessanti, Alonzo. Guardalo attentamente: è un vero pipa, tale è il nome datole dalla signora Sibilla di Meriam, che vide per la prima volta questi strani batraci del Surinam, due secoli or sono.

Il giovanotto, vincendo il proprio ribrezzo, tornò ad appressarsi alla macchia. Là in mezzo si trovava nascosto un grossissimo rospo col corpo piatto e quasi quadrangolare, col muso aguzzo, le dita delle zampe davanti terminanti in quattro punte invece di cinque, e la pelle nera, ma senza esser lucida.

— Guarda cos’ha sul dorso, Alonzo, — disse il dottore che lo aveva raggiunto.

Il giovanotto guardò e con grande stupore vide che