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172 | la città dell'oro |
Si assisero all’ombra della mauritia e sbarazzarono in fretta le loro tasche delle provviste che avevano portate, poi dissetatisi in un piccolo stagno si rimisero animatamente in cammino, cercando di dirigersi verso il sud. Disgraziatamente quell’immensa foresta era così fitta, che non permetteva ai due cacciatori di scorgere il sole. Per di più Alonzo, che si era caricato del formichiere, non poteva affrettare il passo.
Camminarono parecchie ore, facendo solamente delle brevi fermate, ma senza poter scoprire l’Orenoco. Invano di tratto in tratto s’arrestavano per tendere gli orecchi, sperando di udire qualche lontana fucilata od il muggito delle acque del fiume gigante: il silenzio non era rotto che dal cicaleccio scordato dei pappagalli e dalle grida delle scimmie. Già cominciavano ad addensarsi le tenebre sotto i grandi alberi e nulla ancora avevano scoperto. Le loro inquietudini crescevano di momento in momento.
— Ci siamo smarriti — disse il dottore, arrestandosi. — È meglio che ci accampiamo qui e che aspettiamo l’alba di domani. Quale imprudenza non portare con noi una bussola!
— E quali angosce procureremo a Raffaele! — disse Alonzo. — Non vedendoci ritornare crederà che ci sia toccata qualche disgrazia.