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L'agguato degl'indiani 255

quarantotto ore, senza un biscotto da mettere sotto i denti e senza un po’ di spazio per poter dormire.

— La nostra situazione infatti è grave, — rispose don Raffaele. — Cosa dici, Yaruri?

L’indiano non rispose: pareva immerso in profondi pensieri.

— Parla, — disse don Raffaele. — Hai qualche risorsa?

— Forse, — rispose l’indiano. — Abbiate pazienza.

Poi si accomodò a cavalcioni del picco e non parlò più, ma i suoi sguardi si fissavano con ostinazione verso la cateratta, come se da quella parte attendesse un soccorso.

Passò un’ora senza che la situazione dei naufraghi si fosse cambiata. Non si era udito più alcun segnale, nè alcun indiano era uscito dalle macchie dell’isolotto. Aveva potuto, colui che aveva lanciata la freccia, attraversare il canale senza essere veduto e guadagnare la sponda, o attendeva, dal suo nascondiglio, un’altra occasione per lanciare una seconda freccia?...

In quanto ai caimani, non avevano più osato rinnovare l’attacco, ma non avevano però lasciati quei paraggi e non perdevano di vista le prede umane. Ronzavano ai piedi della cateratta, ma fuori di portata delle armi da fuoco, ed ogni volta che i naufra-