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capitolo xii — il deserto di neve 223


buon brodo col pemmican e mancavano per di più di legna o di alcool.

La notte fu cattivissima. Cadeva la neve a larghe falde sull’immensa pianura e soffiava un vento gelido che scendeva dalle regioni polari. La tenda più volte fu abbattuta e quei disgraziati furono parecchie volte coperti dalla neve, accumulatasi sopra quel debole riparo.

I ghiacci della costa non stettero un minuto silenziosi. Di tratto in tratto tuonavano come se si spezzassero violentemente e Tyndhall udì anche quei muggiti paurosi prodotti dalle pressioni.

Guai se invece di porsi in riparo sull’altipiano, si fossero trovati ancora sui banchi!... Forse qualcuno ci avrebbe lasciata la vita.

Quando i naufraghi decisero di riporsi in marcia, continuava a nevicare ed il vento, cresciuto di violenza, sollevava furiosamente il bianco strato spingendolo innanzi in forma d’immense cortine.

Non era forse prudente avventurarsi su quell’immensa pianura spazzata dall’uragano, ma i minuti erano preziosi e non vi era da scegliere fra il pericolo di smarrirsi e quello di morire di fame.

Mastro Tyndhall si era messo alla testa e marciava colla bussola in mano, non riuscendo più a scorgere la costa fra quei continui turbini di neve, che il vento ora sollevava a grande altezza ed ora abbatteva con estrema violenza. Infagottati nelle loro pellicce, col cappuccio calato sul viso per difendere il naso dalle congelazioni, quei disgraziati procedevano a casaccio, avvolti in una specie di nebbia prodotta dall’evaporazione dell’umidità dei loro corpi e cogli occhi gonfi e lagrimosi pel freddo che diventava sempre più acuto.

Marciavano nondimeno con una specie di accanimento,