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224 i cacciatori di foche della baia di baffin


coll’unica intenzione di guadagnare via, per diminuire la distanza, forse immensa, che ancora li divideva dal deposito dei balenieri, unica loro salvezza.

Alle dieci del mattino incontrarono un profondo fiord che pareva si addentrasse entro terra per parecchie miglia. Non sentendosi in grado di girarlo, scesero fra mille pericoli le pareti tagliate quasi a picco, aiutandosi l’un l’altro e servendosi degli arpioni per non rotolare fino in fondo, dove si sarebbero infallantemente fracassate le ossa.

La superficie del fiord era gelata e permetteva la traversata. Tyndhall stava per scandagliare lo spessore del ghiaccio, quando, a cinquanta passi dalla sponda, scorse una macchia oscura apparire sull’orlo di un foro di forma circolare.

– Fermi, ragazzi!... esclamò. Abbiamo una foca!...

– Dove? chiesero i marinai.

– È venuta a respirare in questo momento, sull’orlo di quel buco.

– Non lasciamola sfuggire, mastro, disse Charchot. Ci somministrerà del grasso per prepararci il pemmican.

– Avete ancora le pentole di ferro?

– Le tengo io, rispose Mac-Chanty.

– Seguimi, Charchot, e voi riparatevi sotto quella roccia gelata e trattenete il cane. La foca non tarderà a riapparire, se vorrà respirare e la uccideremo con un buon colpo di rampone.

Mentre i marinai s’affrettavano a ricoverarsi sotto la roccia per difendersi dalla neve che continuava a cadere, il mastro e Charchot, armatisi di due ramponi, si misero a strisciare sulla gelata superficie del fiord, accostandosi al buco che l’anfibio si era aperto per venire a respirare.