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capitolo xii — il deserto di neve 225


– Guarda giù, Charchot, disse Tyndhall, sottovoce.

– State pronto a colpirla.

– Non temere.

Il marinaio si curvò guardando entro il buco, ma subito si trasse indietro. Aveva scorto attraverso l’acqua, che era ancora limpida, un’ombra apparire presso l’orlo inferiore del ghiaccio e poi subito calare a picco.

– L’hai veduta? chiese Tyndhall.

– Sì, mastro, ma si è inabissata.

– Non importa, tornerà a mostrarsi, se non vuole morire asfissiata.

Mentre Charchot spiava l’acqua, impugnò il rampone e si tenne pronto a colpire, stringendo nella sinistra la fune legata all’asta.

Passò un minuto lungo come un’ora pei due marinai; poi entro il buco si udì un leggero gorgoglìo seguìto da un respiro tosto represso.

Il mastro, scorgendo emergere una testa rotonda, rapido come il lampo abbassò la fiocina, senza abbandonare la fune. Entro il buco echeggiò un acuto gemito, e l’arma sparve sott’acqua, mentre intorno all’apertura si allargava una macchia di sangue.

– A me, camerati! urlò Tyndhall.

Charchot e gli altri, che si erano lentamente avvicinati, afferrarono la fune e si misero a tirare con tutte le loro forze.

Poco dopo riappariva il rampone e quindi la foca, la quale fu tosto issata sul ghiaccio.

Era un vecchio beack-master, ossia una foca della famiglia delle otarie, colla testa rassomigliante un po’ a quella dei cani, cogli occhi grandi, colle orecchie appena visibili, non avendo che un principio di materia cartilaginosa, sola cosa che distingue le otarie dalle altre