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236 i cacciatori di foche della baia di baffin


Quando si misero in marcia, le tenebre erano scese sulla baia, ma la luna stava per sorgere sull’orizzonte. Del resto bastava il riflesso dei ghiacci per guidarli, senza il pericolo di cadere in qualche crepaccio o in qualche buco aperto dalle foche.

Attraversarono lo sbocco del fiord, che era ostruito da banchi e da ice-bergs colà spinti dalle onde e dai venti dell’est, e si misero a costeggiare l’alto bastione che scendeva quasi a picco, ma descrivendo brusche sporgenze e curve assai rientranti.

Giunti ai piedi di un promontorio formato da una rupe di dimensioni enormi, che si protendeva verso il mare per parecchie centinaia di metri, Mac-Chanty s’arrestò, dicendo al mastro.

– Siamo vicini.

– Dov’è l’apertura?

– Ai piedi del promontorio.

– Sei certo che ve ne sia una sola? Non bisogna che i trichechi fuggano per qualche altra parte.

– Non lo so, mastro.

– Andrò prima a esplorare i dintorni.

– Tacete, mastro!... Udite?...

Mastro Tyndhall tacque tendendo gli orecchi. Un concerto indiavolato di muggiti e di urla strane ruppe improvvisamente il silenzio che regnava su quella costa, ma quei muggiti e quelle grida erano soffocate come se gli animali, che le mandavano, fossero sepolti sottoterra.

– Sono trichechi, disse Charchot.

– E trichechi spaventati, aggiunse il mastro.

– Spaventati? E perchè?... chiesero i marinai.

– Io non lo so, ma vi dico che questi trichechi devono avere un motivo per muggire così forte. Ov’è l’entrata della caverna, Mac-Chanty?