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64 i naufraghi dello spitzberg


– È ancora vivo il capitano Jansey?

– Sì, signore.

– Sono lontani i vostri compagni?

– Mezz’ora di canotto.

– Avete una scialuppa voi?

– Sì, ma l’interno dell’Eis-fiord è ormai tutto gelato e non potrà più servirci.

– Non importa: ho quindici marinai e due slitte. Bisogna affrettarsi o la mia nave verrà trascinata lontana da queste coste. Avete fame?

– Ieri sera abbiamo divorato due procellarie e una gazza marina, dopo quaranta ore di digiuno.

– Disgraziati! mormorò Oscar.

Tompson uscì dalla capanna e formando colle mani una specie di portavoce, tuonò:

– Ohe! marinai della Torpa!... Dei viveri quassù!... Lasciate le slitte sul banco.

Pochi minuti dopo, dieci marinai carichi di viveri, giungevano nella capanna ed abbracciavano i loro camerati, che avevano già creduti morti di fame e di freddo su quelle coste inospitali.

Tompson fece distribuire dei biscotti, del cioccolato e dei liquori, poi fece fare ai naufraghi un thè bollente e quando li vide un po’ rinvigoriti, diede il segnale della partenza.

Sarebbe stato ben contento di accordare ai disgraziati superstiti delle due navi naufragate un paio d’ore onde si allestissero una colazione calda, ma un ritardo poteva diventare fatale a tutti. Il vento del nord cominciava a soffiare ed il banco che teneva prigioniera la Torpa, poteva venire trascinato al largo.

Nevicava sempre abbondantemente, ma la nebbia si era un po’ dileguata e la luce era tornata. Si poteva