Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. I, 1935 – BEIC 1916022.djvu/63

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libro primo - capitolo iii 57


fesa in arbitrio delli ministri cesarei, pensava a se stesso e come congiongersi con altri che lo potessero defendere dall’imperatore, dal quale si era alienato, avendolo veduto fatto cosí potente che il pontificato restava a discrezione sua.

Nell’anno 1526 si tornò alle medesme trattazioni in Germania e in Italia. In Germania, essendo redotti tutti gli ordini dell’Imperio alla dieta in Spira nel fine di giugno, fu posto in deliberazione, per ordine speciale di Cesare, in che modo si potesse conservare la religione cristiana e gli antichi costumi della Chiesa, e castigare li violatori. Ed essendo li pareri cosí diversi, che non era possibile concludere cosa alcuna, li rappresentanti cesarei fecero leggere le lettere imperiali, dove Carlo diceva aver deliberato di passar in Italia e a Roma per la corona e per trattare col pontefice di celebrar il concilio; e per tanto comandava che nella dieta non si statuisse alcuna cosa contra le leggi, ceremonie e vecchi usi della Chiesa, ma fosse osservata la formula dell’editto di Vorinazia e si contentassero di portar in pazienzia quella poca dimora, sin che egli avesse trattato col pontefice la celebrazione del concilio; il che sará in breve, perché col trattar le cose della religione in una dieta piú tosto ne nasce male che bene.

Le cittá per la maggior parte risposero esser loro desiderio di gratificar ed obedir Cesare, ma non veder il modo di far quello che egli nelle lettere comandava, per esser accresciute e crescere continuamente le controversie, massime sopra le ceremonie e riti; e se per il passato non s’aveva potuto osservar l’editto di Vormazia per tema di sedizioni, la difficultá esser molto maggiore al presente, come s’era demostrato al legato del pontefice, sí che se Cesare si ritrovasse presente e fosse informato dello stato delle cose, non ne farebbe altro giudicio. E quanto alla promessa della Sua Maestá per la celebrazione del concilio, diceva ciascuno che egli poteva ben effettuarla nel tempo che scrisse le lettere, perché allora era in buona concordia col pontefice; ma dopo, essendo nati tra loro disgusti e avendosi armato il pontefice contra lui, non

si vedeva come in questo stato di cose si potesse congregar