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libro quinto - capitolo iii | 225 |
dopo che fossero ben indagati tutti li complici, li svizzeri
mandarono ad interceder per gli altri; e il re, che per la
guerra col re di Spagna (cosí si chiamò Filippo dopo la rinoncia fatta dal padre) aveva di loro bisogno, ordinò che si
procedesse con moderazione. Il papa di questo s’alterò fuor
di modo, ne fece querimonia in consistoro, e disse non esser
maraveglia se le cose di quel re succedevano male, perché
stimava piú gli aiuti degli eretici che il favor divino. Si era
giá scordato il pontefice che durante la guerra sua, dolendosi
li cardinali dell’inquisizione che li grisoni protestanti, condotti
al suo soldo per la difesa di Roma, usassero molti vilipendi
contra le chiese e le imagini, la Santitá sua gli riprese,
dicendo che quelli erano angeli mandati da Dio per custodia
di quella cittá e sua, e teneva ferma speranza che Dio li averebbe convertiti. Cosi gli uomini giudicano diversamente negl’interessi propri e nei fatti altrui!
Prese anco di qui occasione il papa di rammemorare due ordinazioni, quell’istesso anno fatte da quel re, dicendo esser contra la libertá ecclesiastica, quali egli era risoluto che fossero annullate. L’una fu pubblicata il primo marzo: che li matrimoni fatti da figli inanzi il trigesimo anno finito, e dalle figlie inanzi il ventesimoquinto, senza consenso del padre o di chi li ha in potestá, siano per se medesmi nulli. L’altra del primo maggio: che tutti li vescovi e curati risedessero, in pena di perdita delle entrate, con imposizione d’un sussidio estraordinario, oltra le decime ordinarie, per pagare 5000 fanti. Il pontefice a queste cose non pensò quando n’ebbe nova, essendo la guerra in atto e avendo bisogno del re; cessato questo, si doleva che fosse posta mano sino nei sacramenti e gravato il clero insopportabilmente. Perciò diceva esser necessario con un concilio provveder a tanti disordini, che erano molto maggiori abusi che quanti si sapevano oppor all’ordine ecclesiastico; che bisognava di qua incominciar la riforma; che li prelati francesi non ardivano parlare stando in Francia, ma quando fossero in concilio in Italia, liberi dal timore del
re, si sarebbero ben uditi li lamenti e le querele.
Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino - ii | 15 |