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Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/232

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226 l'istoria del concilio di trento


In questi disgusti, parte di allegrezza fu al pontefice che un colloquio incominciato in Germania per componer le differenze della religione, il qual dava molta molestia al papa e alla corte (come sempre quei colloqui dato avevano), era risoluto in niente. L’origine, progresso e fine del quale, per intelligenza delle cose seguenti, mi par necessario raccontare.

Ferdinando nella dieta di Ratisbona avendo confermata la pace della religione sino alla concordia, per trovar modo d’introdurla, fu nel recesso dei 13 marzo deliberato che si tenesse un colloquio in Vormes di dodici dottori dell’antica religione e dodici de’ protestanti, nel quale le differenze fossero discusse, per ridur le parti a concordia. A questo colloquio deputò Ferdinando presidente il tanto nominato vescovo di Naumburg. Convenute ambe le parti il 14 agosto al luoco, li dodici protestanti non furono in tutto concordi, perché alcuni di loro, desiderando una perfetta unione della Chiesa, volevano far opera di conciliar insieme la dottrina degli elvezi, la quale era dilferente nella materia dell’eucaristia; e a questo effetto li ministri di Genéva avevano formata una confessione in questa materia, che a Filippo Melantone e a sei altri degli augustani non dispiacque, né satisfece agli altri cinque. Questo penetrato dal vescovo, uomo accorto e fazioso, il cui fine era che il colloquio si dissolvesse senza frutto, fu autore alli cattolici di proponer che, essendosi instituito il colloquio solamente tra loro e li augustani, pertanto era necessario prima concordemente dannar tutte le sette de’ zuingliani e altri; perché dannati di comun concordia gli errori, facil cosa sará che rimanga chiara la veritá. Li cinque soprannominati, non pensando piú oltre, consentirono che cosí si facesse; Melantone, qual s’accorse dell’artificio che era per seminar divisione tra loro, e per metterli al ponto con li svizzeri, con quei di Prussia e altri, diceva che prima bisognava concordar della veritá, e poi con quella regola dannar gli errori. Il vescovo, mostrando alli cinque che dagli altri sette erano sprezzati, li indusse a partirsi dal colloquio, e scrisse a Ferdinando il successo, concludendo che non si poteva proceder piú inanzi