Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/251

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libro quinto - capitolo iv 245


specioso, e per l’opinione che il mondo ha, se ben vana, che ne debbia seguir frutto; e perché ognuno è persuaso che per l’aborrimento della riforma venga ricusato il concilio, esser cosa di tanto maggior scandolo; e se poi per necessitá si venga a conceder quello che assolutamente sia negato, esser una total perdita di reputazione; oltra che incita il mondo a procurar l’abbassamento di chi s’è opposto. In queste perplessitá teneva il pontefice per cosa chiara non potersi far concilio con frutto alcuno della Chiesa e delli regni divisi, e senza metter in pericolo l’autoritá ponteficia, e che di questa veritá il mondo era incapace; per il che non poteva opporsi all’aperta. Ma restava incerto se, ricercandolo li re o li regni, le congionture delle cose future potessero divenir tali che gl’impedimenti occulti avessero effetto. Tutto pensato, concluse in ogni evento esser bene mostrarsi pronto, anzi desideroso, e prevenir li desideri degli altri, per restar piú nascosto nell’attraversarli e per aver maggior credito in rappresentare le difficoltá contrarie, rimettendo alle cause superiori quella deliberazione alla quale il giudicio umano non può giongere.

Cosí risoluto di questo tanto, e non piú oltre, fatta la coronazione all’Epifania, il dí 11 del mese tenne una numerosa congregazione de cardinali, nella quale con longhe parole manifestò l’animo suo esser di reformar la corte e di congregar il concilio generale, imponendo a tutti che pensassero le cose degne di riforma, e il luoco, tempo e altri preparatorii, per convocar una sinodo che non riuscisse col frutto di quella che giá due volte fu congregata. E dopo questo nelli privati ragionamenti, cosí con cardinali come con ambasciatori, in ogni occasione parlava di questa sua intenzione: non però operava cosa che la dimostrasse piú chiaramente.

Andò l’avviso all’imperatore a Vienna di quello che il papa aveva al suo ministro intimato: il qual immediate deputò ambasciatore; e inanzi la partita di quello, scrisse al pontefice rallegrandosi dell’assonzione sua e ringraziandolo che paterna e saviamente aveva posto fine alla difficoltá promossagli da Paulo IV contra ragione ed equitá, dandoli conto