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290 | l'istoria del concilio di trento |
però non fu eseguito con tutta la sollecitudine comandata, né
essi arrivarono a Trento prima che la terza festa di Resurrezione, dove ritrovarono nove vescovi gionti prima di loro.
Usò il papa diligenza che li vescovi d’Italia si mettessero in
ponto: scrisse perciò efficaci lettere al viceré di Napoli e al
suo noncio in quel regno, e a Milano fece far uffici dalli suoi
con li vescovi di quello stato. Ricercò la repubblica di Venezia che facesse metter in viaggio li suoi d’Italia, e che
comandasse a quelli di Dalmazia, Candia e Cipro d’inviarsi
quanto prima, e creasse ambasciatori che per nome della repubblica intervenissero. Non si movevano però li prelati italiani con molta facilitá, essendo certi che non si poteva dar
principio prima che venisse l’assenso dell’imperatore, che tuttavia si prolongava; aspettandosi spagnoli e francesi, avevano
per superfluo andar a Trento prima che quelli fossero gionti
in Italia: e gran parte di essi, i cortegiani massime, non potevano creder che le azioni del papa non fossero simulazioni.
Ma la veritá era che il papa, certo di non poter fuggir il concilio, desiderava vederlo presto; diceva che era certo il male
quale pativa per la prolongazione, e incerto di quello che
potesse incontrare nel celebrarlo; che gl’inimici suoi e di
quella Sede piú li nocevano nell’aspettativa, che avessero potuto
nuocerli nella celebrazione. E come era di natura risoluto,
era solito usar il proverbio latino: «esser meglio una volta
provar il male, che sempre temerlo».
Ma mentre queste dilazioni s’interpongono, si preparava una convenzione che il duca di Savoia fece con li valdesi delle valli del Moncenis. Imperocché avendo egli giá piú di un anno tentato di ridurli per mezzo de castighi, e dopo che si misero in defesa, come s’è detto, mantenuto genti in arme contra di loro (per il che fare il pontefice piú volte lo sovvenne de danari), e se bene per l’asprezza del paese piú tosto si procedeva con scaramuccie che con guerra formata, successe finalmente quasi una formal giornata, dove le genti del duca ebbero una gran rotta, nella quale essendo morti quattordici soli delli vallesani, gli altri, che erano da settemila