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374 l'istoria del concilio di trento


di decreto, quando alli vescovi fosse rimasta la loro autoritá; anzi quando fosse rimasta alli parrochi e al populo, a’ quali, come di sopra s’è detto, giá apparteneva, e sarebbe giusto che sempre appartenessero simil provvisioni: ma la necessitá di trattar queste materie nasceva dall’essere tutte riservate a Roma. Li prelati erano d’un istesso parere, che le provvisioni fossero necessarie; alcuni però non consentivano che si facessero, per non metter mano nell’autoritá pontificia, trattando sopra le cose a quella sede riservate, massime in tanto numero. Leonardo Marino arcivescovo di Lanciano trattò, come termine di giustizia, che essendo tutti gli offici della cancellarla apostolica venduti, non era cosa giusta sminuirli le espedizioni solite a farsi in quella; che era un levar parte degli emolumenti senza consenso de’ compratori; però si lasciasse queste provvisioni da farsi a Roma, dove sarebbe considerato l’interesse di tutti. Ed era questo vescovo per passar piú inanzi, per li interessi che egli e altri suoi amici avevano in quei uffici, se dall’arcivescovo di Messina, spagnolo, che li sedeva appresso, non fosse stato ammonito che niente si sarebbe risoluto, se non consultato e consentito a Roma. Fu raccordato quello che nel primo concilio s’introdusse nel dar autoritá alli vescovi sopra le cose riservate al pontefice, di aggiongere che facessero come delegati della sede apostolica; qual conseglio fu abbracciato in tutti li decreti che si formarono in tal materie.

Nel settimo, quantunque da ognuno fosse giudicato giusto che il populo avesse il debito servizio da persone sufficienti per il ministerio e costumate per l’edificazione, nondimeno esser assai e molto provvedere in futuro, perché sempre sono odiose e trascendenti le leggi che, in dietro risguardandosi, dispongono anco delli negozi passati; perciò bastare che all’avvenire sia provveduto di persone idonee, e quelli che si ritrovano in possesso siano tollerati. L’arcivescovo di Granata disse la deputazione d’un inetto al ministerio di Cristo non esser dalla Maestá sua divina ratificata, e perciò restar nulla; e il provvisto non aver legittima ragione, e doversi per debito,