Pagina:Sarpi - Lettere, vol.1, Barbèra, 1863.djvu/278

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218 lettere di fra paolo sarpi.

mero più di cinquanta. In quei principii a Roma dicevano qualche cosa: adesso è fatto tanto famigliare, che non ne parlano più.

Io ho fuggito una gran cospirazione contro la mia vita, intervenendovi di quelli propri della mia camera. Non ha piaciuto a Dio che sia riuscita, ma a me ben molto dispiace di quelli che sono prigioni per questa cosa. Non mi è grata la vita, che per conservare veggo tante difficoltà.1

Mi pare gran cosa che il re non abbia potuto dare a suo figliuolo un precettore di proprio gusto, che non l’abbino avuto questi che danno legge al mondo. Delle tre qualità che V.S. dà al soggetto, due sono molto cattive, nè la terza (ch’è la poesia) è molto buona.

Intendo che già è destinata persona per succedere al signor de Champignì nell’ambasciata a questa Repubblica. Desidero che V.S. mi dica le qualità del soggetto, usando la sua solita veracità.

Abbiamo qui la composizione quasi intiera delli moti di Austria, con poca speranza che debbino acquietarsi gli altri. S’inaspriscono le querele tra l’imperatore e il fratello: li sudditi dell’imperatore vogliono pattuir con lui, avendo poco risguardo alla


  1. Dai biografi dell’autore è narrato, che tre Serviti del convento medesimo di Venezia, Fra Bernardo e Fra Gian Francesco da Perugia, e un frate Antonio scrivano e molto dimestico di Fra Paolo, sedotti da Roma, congiurassero per avvelenare il grand’uomo nell’atto del medicarlo, o per introdurre sicari nella sua camera. Scoperta la trama, si vuole che il Sarpi adoperasse le più calde suppliche, fino a mettersi ginocchioni innanzi al Consiglio dei Dieci, per ottenere il perdono del più colpevole fra i tre malfattori. Costui salvò la vita, facendo rivelazioni che misero in chiaro la correità persino di un cardinale.