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lettere di fra paolo sarpi. 293

XC. — Al medesimo.1


Ho ricevuto quelle di V.S. delli 5 e delli 6 d’agosto, restando molto obbligato per le grazie che mi fa continuamente con le sue graziose e affettuose lettere. Mi duole non poter corrispondere salvo che con sola affezione; la quale però è così intensa, che merita esser ricevuta per supplemento di tutte le altre qualità.

Il negozio nostro dell’Abbazia, durato già otto mesi, e in questo tempo trasformato in più maniere che un Proteo, ora è al fine. So che questa cosa si è accomodata con dignità della Repubblica, ma non so con quanta del papa. Se il fine di questa debba esser principio d’altra controversia, io non lo so: sono congetture per ambe le parti, ma molto incomode. E’ si potrà di costà ben dire da V.S. che non dovremmo ricevere; ma è un bel porger acqua all’assetato, e dire: non bere.

Abbiamo qui due agenti, uno troppo buono ed uno troppo cattivo, che mettono alle volte in moto; e se bene il buono è più vicino, l’opera dell’altro si fa più sentire. Abbiamo bisogno della divina assistenza.

Stupisco come in tanti moti di Cleves e di Boemia, li Gesuiti non si facciano nominare punto. Come è possibile stieno in tanto silenzio? O che hanno mutato natura, o che non è venuta ancora la loro vicenda e aspettano opportunità. Io sto in questa credulità: che le cose di Boemia termineranno in


  1. Stampata: come sopra.