Pagina:Sarpi - Lettere, vol.1, Barbèra, 1863.djvu/432

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372 lettere di fra paolo sarpi.

lascia i benefizi nelle mani dell’ordinario. Aggiungasi che quasi in ogni renunzia interviene la pensione, la quale non può imporsi senza del papa. Non rimangono che i benefizi vacanti per morte; ma, stante il decreto del Sinodo Tridentino che concerne il concorso, non potendo i vescovi conferirli a lor talento, fanno capo anche questi alla Sede apostolica in via impetratoria per il prescelto da loro. V’hanno ancora altri stratagemmi, mediante i quali fra cinquecento benefizi (non parlo iperbolicamente) neppur uno si conferisce dall’ordinario. Quindi ognuno che uccella a’ benefizi, ha gli occhi volti a Roma: la curia, poi, non vuol sapere di liti, perocchè ad esse porrebbero mano i magistrati secolari, ed essa ne li vuole al tutto dilungati. Tale è il suo scaltrimento, a cui si lasciano prendere gl’ignari per buona fede e i meticulosi di tutto buon grado.

Ma qui mi viene a mano una controversia più momentosa. Per pigliarsi il diritto del possesso, inventarono una distinzione: dissero che questo era di due specie; spirituale, cioè, e temporale; e che quello dovesse darsi dall’esecutore ecclesiastico, questo dal secolar magistrato. A rincontro, io nego risolutamente, affermando vana e ingannevole la distinzione; e sostengo che non esiste possesso spirituale, ma che il possessorio della cosa spirituale è un che di temporale; e quantunque il vescovo o il parroco niente avessero di temporale, non potrebbero nullameno prender possesso se non dalle mani del principe. Fanno essi vedere per antiche formole, che mai si dette dai magistrati il possesso di chiese, monasteri, canonicati, ec. È incredibile a dirsi quanto danno si arrechi per tale sofisma alla civile potestà.