Pagina:Sarpi - Lettere, vol.1, Barbèra, 1863.djvu/433

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lettere di fra paolo sarpi. 373

V’ebbero di tali che, sotto pretesto di quel possesso spirituale preso dall’incaricato ecclesiastico, per dieci anni furono padroni dei benefizi; e con tutto ciò, sarebbe stato certamente escluso il principe dal diritto d’immettere nel possesso. Se questo io potrò mostrare, reputerò d’aver fatto molto per gettare a terra una cotal distinzione.

Io penso che voi abbiate occhi di lince, poichè di là dai monti vedete le magagne che noi presenti non iscorgiamo. Saviamente ammonite che da nulla più dobbiamo guardarci, che dalle riforme romanesche: strano è però che di costà sia la gente di tanto acuta vista, e noi, per lo contrario, sì ciechi! Ma intanto non posso meravigliarmi abbastanza della bonomia del vostro clero, il quale dimanda al re l’attuazione del Concilio di Trento e la restituzione delle elezioni: cose, io dico, che tra sè cozzano stranamente. Se accettano la Sinodo di Trento, dovranno anche accogliere le riserve, che distruggono affatto l’elezioni. È una vera compassione il vedere come cotesta chierisía cerchi da sè medesima un padrone. Ripensando sovente meco stesso alla ragione per cui il nostro clero volonteroso si addatta al giogo, e non fa forza per riscuotersi, quest’una m’occorse: esso non ama la verace libertà, ma la licenza della vita, la quale non si concederebbe dai principi nè dai popoli, se non fosse appoggiata alla protezione del pontefice; e il vostro clero, io mi penso, chiede il Concilio di Trento per isbarazzarsi del re; giacchè, quando siesi dato in balía della romana curia, essa dimora ben lontano: e l’uomo è così fatto, che spera sempre miglior ventura dai nuovi padroni.

Qui ci si è offerta la quistione, se un magistrato