Pagina:Satire (Orazio).djvu/119

Da Wikisource.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

121

130Ch’è padron di se stesso, e nulla teme
Nè povertà, nè prigionia, nè morte;
Che invitto doma i ribellanti affetti,
Sprezza gli onori e in sè raccolto e saldo
Qual terzo globo intier da se rigetta
135Quanto di stranio a lui s’accosta, e i colpi
D’avversa sorte ognor ribatte e spezza.
Di tali qualità potete alcuna
Ravvisare in voi stesso? Una baldracca
Da voi pretende cinquecento scudi,
140Vi tormenta, vi spinge fuor di casa,
E un catin d’acqua vi rovescia in testa.
Poi vi richiama. Orsù dal giogo indegno
Togliete il collo omai. Dite una volta:
Io son libero, il son: Ma nol potete,
145Che un tiranno crudel vi strazia il cuore,
E voi pur lasso con acuti sproni
Fiede, e per forza vi stravolge e incalza.
Allorchè tienvi instupidito un quadro
Di Pausia, forse minor fallo è il vostro
150Del mio, qualora a rimirar m’arresto
Con terra rossa pinte o con carbone
Le battaglie di Rutuba e di Fulvio
E di Placidejan, che tesi i nervi