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Pagina:Satire (Orazio).djvu/19

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20Vedrem chi sia a compor di noi più lesto.
Ringrazio il Ciel che mi formò d’ingegno
Scarso e meschin, che raro parlo e poco.
Ma tu imita a tuo senno il vento chiuso
Ne’ mantici che soffia senza cessa,
25Finchè nel foco s’ammollisca il ferro.
Felice Fannio, a cui spontaneo venne
L’onor dello scaffale e del ritratto:
Mentr’io non ho chi legga i versi miei,
E a recitargli in pubblico ho paura,
30Perchè questo mio stil dispiace, essendo
Molti al mondo, anzi i più, degni di biasmo.
Prendi un qual vuoi d’infra la turba, è desso
O di fausto macchiato, o d’avarizia.
Altri invescato è ne’ più sozzi amori.
35Dal fulgor dell’argento altri è rapito.
Albio stordisce su i lavor di bronzo:
Chi dal levante va cangiando merci
Sino a’ lidi che scalda il sol cadente.
E qual polve da turbine aggirata
40Precipitoso va tra mille rischi
Per timor di scemare il capitale
O per desio di vantaggiarlo. Tutti
Costor temono i versi, odiano i vati.