Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/111

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eloquenza del vino 55

la vita. Non si potrà, perdio, dir migliore la patria, quand’anche avesse degli uomini; oh adesso ella soffre! non è sua colpa: noi non dobbiam essere sì dilicati. Tutto il mondo è paese. Tu, se fosti altrove, diresti che qui vanno attorno i porci begli e cotti. Ma noi frattanto andiamo ad avere un eccellente spettacolo in questi giorni d’allegria, non di gladiatori ordinari, ma di moltissimi liberti. E il nostro Tito ha gran coraggio, e grandissimo quand’egli ha bevuto. O l’una o l’altra cosa insomma gli gioverà: locchè è certo, perch’io sono suo familiare. Egli non ha remissione; somministrerà ottimo ferro, senz’altro quartiere: s’ha a fare un macello, e che l’anfiteatro ne goda. Nè gli manca il modo. Suo padre gli ha lasciato morendo quasi tre milioni; quand’anche spendesse centomila ruspi, il suo asse non ne soffirirebbe gran cosa, e si farà un nome immortale. Egli a quest’ora tiene alcuni lacchè, e una donna che guida il carro, e un tesoriere come quel di Glico, il qual fu sorpreso in atto che dava diletto alla sua padrona.48Bisognava allor veder le gare del popolo, chi in favor de’ mariti gelosi; chi de’ zerbini. Ma Glico avea de’ quattrini, ed espose alle bestie il suo tesoriere; locchè è quanto espor se medesimo. Che colpa ci ha il servo, quand’è forzato a fare? Ben più meritavasi esser dal toro straziata quella puttanella.49 Ma chi non può batter l’asino, batte il basto. Pensavasi dunque Glico che una figlia d’Ermogene potesse mai ben riuscire? Eppure egli saprebbe mozzar l’unghie ad un nibbio volante. Il serpente non genera corda; Glico, Glico ha ingiuriato a’ suoi, onde fin ch’ei viverà ne porterà tal impronta, che morte soltanto gli potrà scancellare. Ma chi pecca è suo danno. Io ho presentito che Mammea sia per darci un pranzo, e regalar me ed i miei. Se ciò eseguisce, egli toglie a Norbano50 tutto il favore; saper bisogna che costui va a gonfie vele. E per dir vero cosa ci ha egli mai fatto di buono sin qui? Diecci un gioco di