Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/210

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154 capitolo ventesimosettimo

novasse gli scritti del suo testamento, e a compimento della scena ogni qual volta volesse chiamare alcun di noi, scambiasse i nomi, onde ognun si accorgesse che come padrone ricordavasi pur di que’ servi, che non eran con lui.

Disposta in tal modo la macchina, e pregati gli Iddii, che a felice esito la conducessero, ci mettemmo in cammino. Ma non resistea Gitone al peso della valigia, cui non era accostumato, e il servitore Corace, arrabbiato di quell’ufficio, riponea spesse volte i fagotti, bestemmiava quei che correvano, e giurava che avrebbe gittato il carico, o sarebbesi fuggito con esso. Pensate voi, diceva egli, che io sia un asino, o una barca da trasporto? Io mi son dato in affitto per servir come uomo, non come cavallo; e sono libero al par di voi, benchè mio padre mi abbia lasciato povero. E non contento di questi improperj, andava di tratto in tratto rialzando la gamba, e la strada riempiendo di sucidi e fetenti crepiti.

Godevasi questa stizza Gitone, e ad ogni scoppio di colui corrispondea similmente, onde mitigarne il puzzore.