Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/215

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arte poetica. poemetto, ecc. 159

Che riparar con le ferite cerca
85Gli agi per lusso consumati. Ai rischi
Un disperato con ardir s’avventa.

    Immersa Roma in tanto fango, in tanto
Sonno sepolta omai, qual veramente
Forza più la scotea, fuorchè il furore,
90E guerra, e speme nella guerra posta?

    Tre la fortuna avea duci prodotto,
Che poi nell’urto di diversa pugna
La sanguinaria Enìo tutti distrusse.
Crasso dei Parti vincitor, Pompeo
95Dominator del mar di Libia, e Giulio,128
Che Roma ingrata del suo sangue sparse.
Le lor ceneri Enìo divise, quasi
Non bastasse una terra a tante tombe:
E questi, ahi, sono della gloria i doni!

    100Tramezzo a l’ampie di Pozzuol campagne
E il suol partenopeo, luogo havvi tutto
In profonda voragine sommerso,129
Irrigato dall’onda di Cocito,
Da cui s’alza vapor, che intorno intorno
105In calore mortifero si spande.
Nè qui verdeggia nell’autunno il suolo,
Nè spunta in prati ameni erba dal cespo,
Nè fra’ virgulti il Zefiro d’aprile
Col vario mormorio suona o susurra.
110Ma il caos qui, qui siedono macigni
Dalla squallida pomice anneriti
E intorno chiusi da feral cipresso.
Ivi il dio dell’inferno alzò la testa
Coronata di fiamme sepolcrali,
115E di smorte faville, e in questi detti
Provocò la fortuna svolazzante: