Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/232

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176 capitolo ventesimonono


Appena fu egli sortito, che Criside entrò nella mia stanza, e mi consegnò una lettera della sua padrona, nella quale era scritto ciò che segue.

Circe a Polieno salute.

Delusa, come fui, se io fossi esigente mi lagnerei; ma invece ti so buon grado della tua fiacchezza; assai mi compiacqui dell’apparenza del piacere. Pur dimando come tu stia, e se hai potuto arrivar a casa appiedi; giacchè i medici dicono non poter camminare gli uomini senza nervi. Ti avverto, o giovinetto: guardati dal non cadere in paralisia. Io non vidi giammai ammalato in maggior pericolo. Tu sei davvero bello e spedito. Che se un ugual gelo ti prende alle ginocchia ed alle mani, fa conto di mandare pei flautisti.144 Tuttavia che vuoi fare? benchè tanta ingiuria ho ricevuto, pur non voglio ad un pover’uomo rifiutare la medicina. Se vuoi tornar sano, raccomandati a Gitone: tu riacquisterai i tuoi nervi dormendo tre giorni senza il ragazzo. Quanto a me poi non ho paura che alcun mi manchi, al quale io piaccia meglio che a te, se pur non m’inganna lo specchio, nè la mia riputazione. Sta sano se il puoi.

Come Criside intese che io aveva letti tutti quei rimproveri, si disse: le son cose che avvengono, massimamente in questa città, dove le donne scongiurano persin la luna. Ciò non ostante si avrà pensiero anche del fatto vostro: rispondete ora graziosamente alla mia padrona, e tranquillizzate l’animo suo con ischietta urbanità. Io vi confesso il vero: dal momento ch’ella soffri quell’affronto, ella è fuori di se.

Ubbidii di buon grado alla damigella, e queste parole scrissi sulla tabella:

Polieno a Circe salute.

Ti confesso, signora, che io ho commesso assai falli, perchè son pur uomo, e giovine ancora; ma non mai