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Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/298

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242 note

noi ne’ tempi di Giuseppe II, che poi saggiamente abolì siffatte corporazioni. Abbati dicevansi da noi i capi di codeste Università, e decurioni eran chiamati dai Romani, perchè ogni corpo era diviso in decurie, che erano come altrettanti gradi di perfezione; cosicchè il giovine, o il meno abile entrava nella decuria prima, che è quanto dire era di prima classe: il provetto o il più abile nella seconda: l’abilissimo nella terza. In genere di domestici occorreva pure lo stesso che a noi: e Trimalcione, che ne avea tanti, metà de’ quali non conosceva l’altra metà, ben sapea che essi eran divisi in cursori, cucinieri, camerieri, custodi, ecc., cosicchè ritenendo una classe più abbietta dell’altra potea minacciare il cuoco di metterlo tra i lacchè, e premiare il lacchè promovendolo alla carica superiore di cuoco, rispettabile certamente alla corte di Nerone ed a’ suoi parassiti.


Pag 60, lin. 22.

Omero non riferì mai questo accidente. Ma vi ha da contraddire a un Trimalcione? Il pollice rotto di Ulisse, e la prigion di vetro della Sibilla sono spiritose invenzioni, delle quali la comitiva dovea fare elogi maravigliosi.


Pag. 60, lin. 24.

S. Giustino martire e Pausania accordansi nel far menzione dell’urna ove a’ tempi loro mostravansi a Cuma le ceneri della Sibilla. La voce ampulla del testo non potevasi per tanto interpretrar per bottiglia, o fiasco, come altri l’intese, ma un vaso, la cui figura equivalga a quello che noi chiamiam pignatta, o marmitta.


Pag. 61, lin. 36.

Or vedi Annibale all’assedio di Troia, e uniscilo al dito rotto di Ulisse, e alla prigione di cristallo della Sibilla.