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socialismo giuridico 159


Evidentemente anch’esso professa l’antica teoria democratica circa la formazione del diritto, secondo la quale questo nasce nella coscienza giuridica popolare come una norma che dev’essere, ossia come una giustizia più o meno definita nei suoi particolari; l’interprete e il legislatore o, come avviene normalmente, per la convinzione di essa, o per una imposizione dell’opinione pubblica, non fanno che quasi trascriverla dalla coscienza comune nella giurisprudenza e nella legge. Solo avendo questa fede, il nostro socialismo può mettere tanto calore in formulare giustizie e raccomandarle alle masse. Egli mira a modificare la coscienza giuridica degli interessati in senso socialistico, onde essa crei il diritto socialista.

Codesta teoria non è già più così ferma oggi, com’era ieri. Si oppongono ad essa certe nuove tendenze aristocratiche del pensiero volte ad esaltare l’arbitrio del legislatore, come autore possibile di un diritto non derivante dalla coscienza popolare, le quali a loro volta s’inspirano ad una recente filosofia, la quale afferma che l’uomo invece di subire una legge di evoluzione, che egli non può aiutare, nè combattere, è l’autore volontario del proprio destino. L’opposizione è giustificata. Essa anzi è contenuta entro limiti in certi rispetti troppo angusti. Si possono ampliare e si può tentare di ridurre in una formula unica i pensieri sparsi manifestati intorno al rapporto tra codesto arbitrio e codesta coscienza nella formazione del diritto.

Qualsiasi norma esprime di necessità la coscienza giuridica dei suoi autori politici, i quali possono essere come possono non essere i giuridici. Se però dettare una norma è facile, difficile è dettarla tale che sia durevole, ossia obbedita e durevolmente obbedita. Perchè una norma duri, occorre e basta che essa non leda quegli stati di coscienza delle persone, la cui cooperazione è necessaria alla sua applicazione, i quali hanno per esse maggior valore di quegli stati che le inducono a codesta cooperazione. Se li lede, si produrrà una reazione consistente nel venir meno la cooperazione. Altrimenti si avrà un’acquiescenza consistente nella concessione della cooperazione. Possiamo chiamare brevemente i primi stati di coscienza: stati reagenti; i secondi: stati obbedienti. Varia ora, a seconda dell’indole e del contenuto delle norme, il numero delle persone di cui si domanda il concorso alla loro applicazione. Ve n’ha di tali che domandano soltanto la coope-