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98 all’erta, sentinella!

o sette anni che viveva in quel Bagno penale, nè la eccessiva ferocia, nè la eccessiva umiltà, nè il bene, nè il male; ma ogni tanto la natura umana gli si rivelava così bizzarramente, che egli trasaliva. Rocco Traetta aveva ucciso il padre, di un colpo solo, per quistioni d’interessi: era il parricidio più terribile nelle cause, pel tempo, per tutte le circostanze. Eppure quest’uomo, che per dieci minuti della sua vita era stato più micidiale di una belva, tremava di dolore, parlando di un piccolo fanciullo ammalato. Lo sapeva, il capitano Gigli, come sapeva tutto quello che accadeva nell’isola, che Rocco Traetta gironzava intorno alla casa, tentando di entrare; ma sapeva anche che quel fragile fiore che era l’anima di sua moglie, diventava implacabile, di fronte a quegli aspetti odiosi. Non voleva galeotti per casa. Lo aveva detto a Grazietta, anche davanti al capitano. E nessuno entrava, no, nessuno. Quando le si nominava Nisida, la galera, i galeotti, per combinazione, naturalmente, ella socchiudeva gli occhi come a celare un lampo di collera, per non dire quello che il cuore le diceva e si chinava sul lettuccio del suo bimbo, baciandone le guancie magre e calde, carezzandone i molli capelli, dicendo con quella infinita pietà che aveva nella voce:

— Figlio mio, figlio mio...

Così, neppure il capitano Gigli, intimidito, scosso, desolato internamente dalla malattia del fanciullo