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132 nella lava


La sala si stipava sempre più: erano le dieci e mezzo. Erano giunte le due sorelle De Pasquale con la madre, le due filodrammatiche bionde e incipriate che raccoglievano applausi e allori di dilettanti, nei teatrini privati e anche in quello solitario, abbandonato, lontano di San Ferdinando, dove i filodrammatici hanno preso dimora: esse fanatizzavano il pubblico nel Giorgio Gandi, nella Marcellina, nei Nostri buoni villici, nel Padiglione delle Mortelle, consumavano tempo, salute e quattrini, erano sempre circondate di ammiratori, ma non trovavano marito, e dalla scena avevano trasportato, nella vita, molta cipria nei capelli e sul viso, un po’ di rosso sulle labbra, e certe occhiate oblique di prima attrice giovane.

Le Galanti, tre sorelle, tutte brune, simpatiche, dagli occhioni neri, dalle forme esuberanti, robuste troppo, ma coi mustacchi come la madre, un donnone che sembrava lei il generale della rivoluzione di cui era vedova, avevano un circolo di ufficiali e di giovanotti eleganti, chiacchieravano e ridevano, mostravano i denti bianchi, un po’ selvaggie nella loro simpatia, specialmente Riccarda che aveva i mustacchi e le labbra grosse e rincagnate come una mora. Avevano una dote, le Galanti, erano state educate nel nobile collegio dei Miracoli e avevano un certo disdegno per le De Pasquale, miserelle, bionde, che si affannavano a esprimere la passione nella Gerla di papà Martin e non pescavano un cencio di fidanzato, da cinque anni e ne avevano venti. I due gruppi fingevano di non guardarsi, ma le Galanti erano indispettite che quell’elegante giovanotto, il marchesino Girace, fosse sempre