Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/185

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nella lava 181


col solo risultato di far saltare quattro pettegole che poi avrebbero detto male di loro, andandosene: enumerava la sedia rotta, le corde spezzate, il petrolio consumato, i piattelli scoppiati, borbottava, senza fine, Enrichetta, portando ancora il suo vecchio busto di raso rosso, guardava il piatto di maccheroni freddi e unti con cui doveva cenare: e piangeva.

IV.

Il rombo vesuviano cominciò il giorno ventidue aprile 1872, all’una pomeridiana. Era un rumore sordo, sotterraneo, ma continuo, a cui si univa il tremore dei vetri, mai cessante. La giornata era purissima, di una grande dolcezza primaverile: i napoletani si affollarono in tutte le strade donde si vedeva il Vesuvio, salirono su tutti i terrazzi, si arrampicarono su tutte le soffitte, comparirono a tutti gli abbaini. Sul Vesuvio s’innalzava una lunga e fitta nuvola bianchiccia, della forma di un pino, lievemente colorata di rosa alla base, che posava sul cratere: altro non si vedeva. Ma non diminuiva il rombo, per cui pareva tremassero tutte le case napoletane, da Posillipo al Borgo Loreto, dalla collina del Vomero alla via di Porto; il boato pareva venisse dalle viscere della terra, sotto i piedi dei viandanti. Il direttore della Scuola Normale entrò nella seconda classe, dove erano anche