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piccolo pugno sulla ringhiera della loggetta. Chiarina li guardava, con una malizia affettuosa negli occhi, tenendo sospeso l’uncinetto e giocando col filo.
Federico avea acceso un sigaro, fumava, guardando in aria.
Dietro la persiana. Emma Demartino guardava i due innamorati bizzosi: non così, forse, nel tempo lontano, litigavano dolcissimamente con Carluccio Scoppa? Le mani molli le erano cascate in grembo, smorte sul vestito bruno di lana, e il gomitolo del filo era caduto per terra: il gatto, il vecchio gatto rosso e grasso, arrotolato, sonnacchioso, egoista, non si degnava neppure di scherzare col gomitolo.
— Mimì, — chiamò Federico.
Quella non rispose, scrollando le spalle.
— Non far la capricciosa, Mimì; lo sai che ti voglio bene, — e queste ultime parole le disse piano, guardandosi intorno.
— Stt! — disse lei, mettendosi un dito sulle labbra, ma con la fisonomia già rasserenata.
— Perchè?
— Ti possono sentire.
— Chi vuoi che senta? Tutti dormono a quest’ora.
— Se mammà viene a sapere che io parlo con te, di qui, ogni giorno, non mi manda più da Chiarina e mi chiude in camera.
— Per carità, come faremmo?
— Moriremmo, — esclamò tragicamente la biondina.
— Ma che!
— Certo: io sarei capace di buttarmi nel pozzo,