Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/91

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per monaca 87


una furia di soldati che vanno all’assalto o di pirati all’arrembaggio. Qui, giù, da una parte e dall’altra dell’albero di maestro vi era qualche sedia, ma nessuno voleva sedervisi, le ragazze e le maritate ballavano come diavoli, e negli intervalli visitavano la nave; le straniere, provvide, avevano seco delle sedie portabili, dei pliants; in quanto ai giovanotti, essi preferivano fare del colore locale, accovacciarsi in tre, in quattro, sovra un mucchio di cordami, mettersi a cavalcioni sopra un piccolo cannone: e le donne, per darsi un’aria interessante, fingevano tutte di avere il passo incerto, il passo del marinaio, e domandavano ogni tanto a qualche ufficiale di marina, in grandi faccende pel ballo:

— Si dovesse muovere l’àncora?

— È forte, è forte, — rispondeva quello ridendo.

Sul ponte di poppa, vasto, tutto infiorato e imbandierato, si ballava disperatamente, come se quello fosse l’ultimo giorno di ballo per tutte quelle donne e per tutti quei giovanotti. Eugenia d’Aragona, semplicemente vestita di lana bianca, con un cappello tutto piumato di bianco, con un paio d’orecchini di brillanti grossi come noccioli, lusso permesso solo ad una fanciulla viziata, ballava sempre, sempre, sempre, non fermandosi mai, girando come un arcolaio, passando da un cavaliere all’altro, senza respirare un momento, con gli occhi lucidi, le guance accese, divertendosi come una bimba: invano il suo fidanzato, Giulio Vargas, ricco quasi quanto lei, innamoratissimo, la pregava ogni tanto di riposarsi: ella faceva una smorfia deliziosa, poi gli diceva, con un tono carezzevole: