Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/92

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88 per monaca


— O Giulio, o Giulio, ti voglio bene assai, se mi lasci ballare. —

Questo, detto con quel grande languore sentimentale che hanno la voce e gli occhi napoletani quando amano, languore a cui niuno resiste: e se Giulio titubava, essa gli s’infilava sotto braccio, lo portava via, alla prima misura erano in giro anche loro. Giulio subiva il fàscino di quella giovinezza rumorosa. Ogni volta che Eugenia passava accanto a Eva Muscettola, le diceva gridando un poco:

— Ma balla dunque Evuzza, balla, non vedi me! —

Eva, al braccio del suo cavaliere, Innico Althan, un tenente di vascello, fratello della sua amica Chiarina, ballava abbastanza, ma più le piaceva di chiacchierare e di ridere con Innico, un giovanotto alto, magro e bruno, che portava l’uniforme con una grande eleganza e che mescolava alla gaiezza naturale meridionale una punta di malinconìa, di coloro che hanno fatto dei lunghi viaggi e che sono destinati a ripartire. Così, da due mesi, lentamente, una dolcissima simpatia si era stabilita fra i due giovani, fatta più di intenzioni che di parole, consistente più in certi minuti particolari sentimentali, che dei grandi fatti del cuore. Egli certo sentiva la saldezza affettuosa dell’anima di Eva, malgrado il disordine e l’abbandono di una casa dove mancava il focolare domestico, sentiva quel fluire di tenerezza che dal cuore della fanciulla se ne andava alle amiche, ai bimbi, ai poveri — e lei, in cuor suo, ammirava quel giovanotto che si era voluto togliere dall’ambiente di vizio e di frivolezza dei suoi compagni e amici,