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La Conquista di Roma 217


«Cara, non ve ne sono, di libri per te,» rispose lui, senza pensare a ringraziarla di esser venuta.

Ella cercava fra le carte, con le mani sottili inguantate di nero, imbarazzata dal suo gran fascio di rose. Sangiorgio la guardava sorridendo di compiacenza. Era sempre così attraente con quelle grosse labbra umide e rosse, con gli occhi strani dal colore incerto, con quella eleganza opulenta della persona, che il contemplarla, l’averla presente, là, nella sua stanza, era per lui un diletto sempre nuovo. Ogni volta che la sua signoria maschile si affermava in qualunque modo, egli provava un delicato e intenso piacere di orgoglio.

«Non vi è nulla,» diss’ella, ridendo, «non posso mica leggere quanta polenta mangino i contadini lombardi, e quante patate i meridionali. Ciò mi affliggerebbe troppo; scrivi, scrivi, Franz: non occuparti di me.»

Egli si alzò e venne a baciarla sugli occhi, attraverso il lieve velo, come a lei piaceva: ella fece un risolino di bimba golosa a cui si dà un pasticcino, egli ritornò a scrivere. Elena camminò su e giù nel salotto, come per riscaldarsi:

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