Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/13

Da Wikisource.

la mano tagliata. 7


viso lo aveva sgomentato: non poteva vivere, dove avesse freddo. Andava sempre verso i paesi caldi, per istinto. Aveva piantato tutti i convegni e tutte le poste, aveva lasciato la donnetta e la signora senza un saluto e da una sera a una mattina, pagato il conto al Grand Hôtel, lasciato il suo indirizzo di Nizza, lasciava Napoli.

Un corteo di nozze si agitava fra gaiamente e malinconicamente, intorno a lui: il treno delle due e cinquantacinque è famoso per questa partenza di sposini. Era uno sposalizio borghese, ma ricco: la sposa, malgrado il suo elegantissimo vestito della Ville de Lyon, aveva degli orecchini di brillanti troppo grossi per una signora che viaggia, e lo sposo si sprecava in troppi abbracci e baci ai suoi amici e parenti, chiamando: caro zio.... caro compare.... caro Ciccillo. Con un po’ di sorriso sulle labbra, Roberto Alimena guardava questo corteo. La cosa che più lo faceva ridere, nel mondo, era il matrimonio. Prego credere che Alimena non era uno scettico. Ma rideva del matrimonio, come tutti gli esseri indipendenti, freddi di cuore, disoccupati e male avvezzi, o troppo bene avvezzi, dal destino. Ne rideva, come di qualche altra cosa!

Questi era il bel giovane dal volto bruno, di un bruno ambrato, dai mustacchi castani a riflessi fulvi che s’incurvavano sovra una bocca aristocratica e sarcastica. Roberto Alimena era indipendente, disoccupato e male avvezzo, perchè era ricco, molto ricco, immensamente ricco e nobile: era freddo di cuore, perchè aveva perduto sua madre e suo padre fra i dieci e i quindici anni, perchè a trent’anni, da nove anni amministrava da sè la sua fortuna e si era avvezzo a vincere tutto col denaro, col nome, col fascino personale. Perchè avrebbe dovuto amare qualche cosa e qualcuno? Chi non ha difficoltà, nella vita, non ne