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la mano tagliata. | 145 |
esclamò Rosa, guardando in giù, se qualcuno arrivasse.
— Chi lo sa! —
Nessuno veniva. Disopra, fra le penombre del giorno che appena spuntava, due o tre carrozze passarono venendo disopra, cioè dalla stazione; era il treno di Napoli che era giunto da poco.
Qualcuno si piegò difuori la carrozza, per guardare quelle due ombre muliebri, appoggiate a quella porta.
— Che freddo, mio Dio! — mormorò Rachele, rabbrividendo.
Coraggiosamente Rosa bussò tre colpi. Di nuovo, si udì il passo trascinato del portiere che chiese, di dentro, con la sua voce aspra:
— Chi è?
— Per amor di Dio, portiere, apriteci, siamo due donne sole, a quest’ora! Il signor conte ci conosce, vi dirà che avete fatto bene, quando rientra, — supplicò Rosa.
Si intese un borbottìo sordo, di dentro. Si comprendeva che il portinaio era un po’ scosso.
— Aprite il portellino e vedrete che siamo donne, che siamo sole. È una cosa di grande urgenza, portiere, una cosa a cui il conte s’interessa molto! — riprese Rosa, trovando parole e modi di dire eloquenti.
Difatti, un rumore di catenaccio scorrente nei cerchi si udì.
La piccola porta del portone si schiuse di una linea e il portiere mostrò il suo volto dalla barba nera, un volto ancora sonnacchioso.
— Ma che volete? — disse lui, squadrando Rosa e Rachele.
— Portiere, — disse Rachele, ancora tremante — noi, qui fuori, moriamo di freddo e di paura. Fateci almeno entrare nel portone, staremo al sicuro e non batteremo i denti.