Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/25

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la mano tagliata. 19

nanzi a quel cofanetto nero, con gli occhi attaccati a quella pelle nera che non portava nè cifra, nè segno, nè nulla; il tempo passava e Roberto Alimena ardeva di curiosità, egli che era sempre stato così poco curioso.

Di chi era, quella scatola? Del deputato Costabile, scordata forse dietro a un mobile, di qualche viaggiatore che l’aveva lasciata nell’omnibus dell’albergo, di qualcuno che aveva viaggiato con lui, dell’ignoto tedesco, forse?

E immediatamente il cervello di Roberto Alimena vibrò in questa convinzione: la scatola doveva appartenere a colui. Perchè, come, quando, egli non lo avrebbe potuto dire; ma ne era sicuro. Il viaggiatore pareva non avesse bagaglio, ma nell’ombra Roberto Alimena poteva non aver visto quella scatola; e il tedesco, quello che sembrava un tedesco, l’aveva dovuta dimenticare, colà, scendendo dalla carrozza. Era sua, certo.

La seconda idea di Roberto Alimena fu questa: restituire subito la scatola al suo proprietario. Cercarlo, restituirgliela. Essa poteva contenere gioielli, denaro, carte importanti, qualche cosa a cui lo straniero doveva tener molto, giacchè era il suo solo bagaglio. A quell’ora, egli doveva essere desolato di quella dispersione. Ridargliela!

Sì; ma come? Chi era costui? Dove era andato? Si era fermato a Roma? In quale albergo? Come cercarlo, come trovarlo? Adesso Roberto ripensava il modo bizzarro con cui lo straniero era salito nel treno, da quella stazione di Ceprano, che non apparteneva neppure a una città, in quel silenzio dove Roberto non aveva neanche udito la sua voce, in quella penombra dove nessun tratto della fisonomia si scorgeva, salvo quegli occhi verdi, così freddi, così gelidi; e infine, quella scomparsa tra la folla della stazione di Roma, una scomparsa, un annegamento! Restituire, come?