Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/257

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la mano tagliata. 251

ziato isolato dal mondo e immerso in uno studio assorbente. Cercare un uomo così, come un ago in un pagliaio, era un disegno pazzo. Ma Roberto Alimena concluse che non gli restava altro da tentare. Così, passò due giorni all’Albergo Piccadilly, immerso nelle dubbiezze e nelle riflessioni più strane, quando una mattina gli fu annunziata una visita. Veramente, non gli fu annunziata: gli fu detto che un gentiluomo chiedeva di parlargli, ma che non aveva voluto dire il suo nome. Roberto, che era sempre sospettoso e diffidente, cavò dall’astuccio un piccolo revolver meraviglioso, delizioso come un giocattolo, ma infallibile, e lo depose sulla scrivania, dicendo al cameriere di fare entrare lo sconosciuto.

Un uomo ancora giovine, robusto, con una fisonomia aperta e bonaria, con un paio d’occhi vivaci, ma senza malizia, un uomo dell’apparente età di trentacinque anni, raso il mento, le guance come un clergyman, e vestito decentemente di scuro, entrò nella camera, facendo un saluto disinvolto.

Roberto lo squadrò con una fredda occhiata e non vide in quella fisonomia e in quella persona che l’apparenza semplice, un po’ ingenua, forse di un placido borghese di Londra. Dal volto di quell’uomo tutto spirava ingenuità e bonomia: ognuno gli avrebbe confidato i propri segreti, senza esserne richiesto.

— Voi chi siete? — domandò il conte Alimena.

— Sono la persona che Vostra Signoria aspettava.

— Quale persona? — chiese Roberto, trasognato.

— Vostra Grazia non ha domandato di me, dunque? — chiese enigmaticamente il buon uomo.

— A chi?

— Vostra Grazia è il conte Roberto Alimena, italiano?