Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/439

Da Wikisource.

la mano tagliata. 433


Passarono così otto giorni, in cui Ranieri Lambertini che aveva messo per le parole di Dick Leslie molta speranza in quella misteriosa lettera suggellata, scritta da una morta a sua figlia, a poco a poco sentì smarrirsi tutta la sua fiducia, e si sentì ripiombare sotto il peso di una fatalità implacabile. Era dunque stato inutile lo scellerato assassinio di Maria Cabib, e il terribile suicidio di Marcus Henner: l’infame gobbo dominava anche dalla tomba i cuori dei superstiti, e come aveva distrutto l’esistenza della povera madre di Rachele, aveva minato e distrutto l’esistenza della figliuola.

Invano il conte Lambertini aveva mandato sette od otto volte Rosa al convento delle sepolte vive: giammai costei aveva potuto vedere Rachele. Oramai, quando ella ritornava di lassù, si gittava scoraggiata sopra una sedia e non rispondeva neppure più alle domande affannate di Lambertini.

Costui, nelle lunghe ore d’inutile attesa, in quella stanza di albergo, dove viveva sempre più solingo, leggeva e rileggeva le due lettere di Roberto Alimena, e di Marcus Henner, e contro quel morto lo teneva un’ira così truce, che nessuna corrente di pietà arrivava a temperare.

Tutto il dramma di Marcus Henner, che aveva vissuto come Prometeo col fegato divorato da un’aquila, non gli ispirava che ribrezzo ed ira. L’amore potente e sventurato che aveva fatto di quel grande ebreo un micidiale, gli faceva orrore; e anche dopo la morte, il deforme dottore da’ freddi occhi verdi, col suo cofanetto ove giaceva la mano tagliata ed ingemmata di Maria Cabib, gli metteva addosso la collera impotente di chi ha perduto la sua vendetta.

E così, nella morte come nella vita, il grande ipnotizzatore, l’uomo che aveva piegato innanzi a sè tutte le volontà salvo una, e che aveva posseduto tutto nella vita, salvo l’amore di una donna,