Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/53

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la mano tagliata. 47


— Dove sei stata?

— Pel Corso.... — E chi hai incontrato?

— Nessuno, — rispose Rachele, con tono secco.

E abbassò gli occhi, serrò le labbra, come se non volesse rispondere più. Il padre conosceva quei movimenti: sapeva che, in quel momento, sua figlia diventava di pietra. Non chiese nulla. Rosa sparecchiava la tavola ed egli aveva accesa una pipetta, che aveva cavata dalla tasca della sua palandrana. Giacobbe Verona si era levato in piedi, per andarsene.

— Vieni presto, domattina, Giacobbe, — raccomandò Mosè Cabib, al suo gramo commesso che andava via.

Costui si chinò e gli baciò la mano, come faceva ogni sera. Rosa accese un fiammifero, per fargli lume, per le scale, non volendo togliere la lampada ai padroni. Poi, rientrò. Rachele Cabib restava sempre immobile, con le mani incrociate, assorbita nei suoi pensieri. Le lunghe ciglia delle palpebre abbassate le mettevano un’ombra sulle guance. Il padre fumava in silenzio la sua pipa. Rosa aveva preso una calza e lavorava, un po’ lontana dalla tavola, senza neanche guardare le maglie.

— Perchè siete uscite, stamane? — ripetette Mosè, rivolgendosi alla serva, ancora una volta. — Lo sapete che non mi piace! — Costei non rispose, ma fece un gesto per indicare Rachele. La fanciulla non si smosse, come se non avesse udito.

— Rachele? — chiamò il vecchio.

— Padre? — rispose ella, scuotendosi.

— Hai udito?

— No, padre.

— Mi spiace che tu sia uscita.

— Qui, si soffoca, — ella disse, con voce sorda.