Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/84

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78 la mano tagliata.


rozza penetrò nel grande viale di villa Strohl-Fern; erano le undici e Silvio Amati doveva essere rientrato da un pezzo dalla Università. Il villino era tutto biondo di un bel sole d’inverno, molte roselline invernali, in piccole aiuole, si stendevano fin quasi sulla soglia. Roberto suonò il campanello e il vecchio servo di Amati venne ad aprirgli. Lo conosceva, si fece da parte per lasciarlo entrare.

— È visibile? — disse Roberto.

— Sì, lavora: ma non è visibile.

— Solo?

— Solissimo. — Parlavano piano, come invasi dal sacro rispetto che ispirano le case dei pensatori, dei laboriosi.

— Ditegli che amerei vederlo: Roberto Alimena, ve ne ricordate? — Il servo sparve, silenziosamente, lasciando Roberto Alimena in un semplice salottino, arredato con gusto, con fiori freschi messi nei vasi.

— Non era senza donne, una volta, — disse fra sè, il giovane gentiluomo.

In questo, la porta di quercia dello studio si schiuse, e la scarna figura di Silvio Amati comparve, nell’arco.

— Vieni, vieni, caro giovanotto, — disse, abbracciando Roberto.

Lo trattava sempre affettuosamente, in memoria del suo amico morto così giovane, e anche perchè a quel profondo scienziato la gioventù e la bellezza piacevano.

— Non disturbo? — chiese Roberto, penetrando nell’ampio salone, coperto da libri, da cima a fondo, austero e pure lieto di sole.

— No, caro: non disturbi mai, — disse Silvio Amati, immergendosi in un vasto seggiolone di cuoio nero a borchie di metallo.

— Lavoravate, studiavate. ... — Lavoro e studio sempre, — e dette un fug-