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92 la mano tagliata.


— Ma, non so. Tu non hai casa, a Milano?

— Sì: con due servi, un marito e una moglie.

— Fidati?

— Fidatissimi.

— Non vecchi o malati?

— Nè vecchi, nè malati.

— Ebbene, portala colà. Ti avrei detto di lasciarla da me, Roberto, ma. ... — No, no, — disse subito costui.

— Io non ho paura di niente, — soggiunse Silvio Amati con un sorriso. — Ma neppure la mia casa è sicurissima: il servo è vecchio, io sono assente due o tre ore al giorno....

— E costoro già sanno che io sono qui, con la scatola.

— Ti pare?

— Ne sono certo. Aspettate. —

Dopo aver detto questo, Roberto Alimena si avvicinò a uno dei finestroni del laboratorio che dava sul grande parco di villa Fern. Giusto, innanzi al peristilio, un suonatore di organetto di Barberia si era fermato, guardando in alto. Era un vecchio, con una gran barba bianca, l’aria stanca e curva sotto il peso dell’organino, sospeso al suo collo per mezzo di una larga correggia di cuoio. Subito, si mise a suonare una malinconica aria antica, dell’Ernani, e la mano che girava la manovella era così fiacca, che la musica esciva lenta lenta, flebile, quasi discordante. E guardava in su.

— Quell’uomo è una spia, — disse Silvio Amati, che aveva raggiunto Roberto Alimena presso la finestra.

— Evidentemente, — mormorò il gentiluomo, che aveva aggrottato le sopracciglia.

— Cerchiamo interrogarlo, — disse Amati, subito.

— Sarebbe inutile. Partirà prima che noi scendiamo, o non risponderà. Vedete che la mano non