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92 storia di due anime


sbocciate sulla piccola pianta, vi unì un ramoscello di basilico, e le porse il mazzolino.

— Grazie, Domenico — disse Gelsomina.

— Non mi chiami più Mimì?

— Eh no! Mimì ti deve chiamare la tua sposa. Ora me ne vado — ripetette, con quel suo dire, come in sogno. — Dio ti benedica, ti benedica sempre!

— Dio ti accompagni, Gelsomina.

— Scusa se ti ho trattenuto...

— Oh, non fa niente.

— Scusa se ti ho rattristato...

— Ma che!

— ...in un giorno di festa... Me ne vado, me ne vado. Questi fiori sono di Anna, è vero?

— Sì. Dio ti accompagni, Gelsomina.

— In ogni tuo passo, Domenico.

Senza toccarsi la mano, senza guardarsi, si accomiatarono. Nè egli si accorse che Gelsomina, con un moto rapido, dopo essersi guardata intorno, aveva gittato il mazzolino dai ferri del balcone, giù, giù, nel pelago delle case che scendevano, dai Mercanti verso via di Porto. La fanciulla rialzò fieramente e tristemente il capo, ove i grandi occhi grigi lucevano di gioventù, ove la bella bocca schiusa, dal labbro corto, pareva un picciol fiore, e con un gesto fra stanco e rassegnato sparve dalla scala di servizio, col suo passo lieve e un poco molle. E per lei, certo, e, forse, per sè, Domenico Maresca fu preso, a un tratto, da una desolazione infinita: guardò l’orizzonte di una delicatissima tinta di viola, già, da quel balconcino della fredda cucina,