Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/53

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al pomodoro, ora una donnina dal vestito di merletto nero, dal largo cappello piumato di nero, dagli orecchini di brillanti simili a rosette, che tutta sola, a un tavolino, sorbiva del brodo, agitando le mani bianche cariche di gemme. Riccardo non parlava, e suo padre era felice di non parlare. Una grande stanchezza si delineava sulla faccia di Paolo Joanna. Paolo in quell’ora, sotto la luce cruda del gas, innanzi al grande candore della tovaglia, al luccichío dei bicchieri, allo scintillío delle posate, pareva molto più vecchio. La tensione dei nervi era calmata, tutti i muscoli della faccia si erano rilasciati in un riposo: egli era pallido, quasi scialbo, con l’occhio spento e il labbro inerte. Era quello il grande accasciamento serotino, l’abbattimento di tutte le forze spirituali che pare il principio quotidiano dell’ebetismo, quello stato di silenzio, di aridità, di nichilismo che fa simile, ogni sera, il giornalista al contadino che si siede alla mensa dopo aver zappato, tutto il giorno, sotto il sole o sotto la pioggia: come il contadino ha in quell’ora il solo, quasi animale desiderio del cibo, il desiderio della sua copiosa minestra di patate o di barbabietola, così il giornalista, così Paolo Joanna, in quell’ora è fatto indifferente ad ogni altro desiderio che non sia quello del