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gnore per lasciargli meno, e trenta pel cognac. A quell’ora flutti di gente attraversavano Piazza San Ferdinando, salivano e scendevano per Toledo: Paolo teneva per mano Riccardo. Un giovane bruno, con gli occhiali, dal profilo stranamente somigliante a un gallinaccio, passando, strinse la mano a Joanna e gli disse:
“Bravo, mi congratulo tanto pel vostro capocronaca.”
Nelle sale interne del Gran Caffè faceva troppo caldo, padre e figlio sedettero fuori, sulla strada, dove si allungava una fila di tavolini, circondati da persone che bevevano il caffè o sorbivano un gelato.
“Vuoi il gelato, Riccardo?”
“No, papà, voglio il caffè.”
“Portami anche dei trabucos,” ordinò Paolo Joanna al cameriere.
Sotto un lampione, l’uno accanto all’altra, i due piccoli venditori di giornali stavano fermi, tenendo il loro fascio di giornali. E la sorellina dava il grido:
“I’ mazzate d’i’ Cammere, vulit’u Temp!”
E il fratelluccio, con una voce più flebile, riprendeva:
“I’ mazzate d’i’ Cammere, vulit’u Temp!”
“Papà, dimmi, che è questa cosa che gridano quei due piccolini?”