Pagina:Sercambi, Giovanni – Novelle, Vol. II, 1972 – BEIC 1925048.djvu/289

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iv. le novelle 787

tiva, giacché tale espediente gli offre l’opportunità di sottolineare il valore dell’amicizia o i pericoli che covano le vecchie inimicizie, di esercitare una certa critica dei costumi insistendo su certi vizi o su certe debolezze. Per il resto, l’autore si mostra completamente sottomesso al preposto in un’acquiescenza assoluta condivisa da tutti gli altri membri della brigata.

Il preposto è il vero fonte dell’azione: egli stabilisce l’ora della partenza, la direzione del viaggio, in quante tappe esso si compirà, l’ora della cena e quella del riposo o della danza o del sollazzo; invita i religiosi a recitare le moralità, i cantarelli a cantare o suonare, impone all’autore di narrare la sua novella, suggerendone in qualche caso persino l’argomento. La brigata è attenta ai suoi comandi ed ai suoi desideri; viene notato financo quando egli si astiene dal ridere assieme al resto della comitiva: ogni sua reazione o commento al racconto è puntualmente registrato.

La vita della brigata sembra avere i caratteri della vita di una città del Quattrocento, dove tutto si svolge attorno alla venerata persona del signore e tutto dipende dalla sua volontà. Sercambi, che si era assunto il ruolo di consigliere politico dei Guinigi e di cronista della loro signoria, si assume anche quello di narratore e poeta ufficiale. Per cui si intende come lo schema offerto dalla occasione del viaggio diventi man mano più composito e complesso, passando da caratteri piuttosto semplici modellati sulla vita di un popolo acquiescente a quelli più elaborati di una corte che vive in grazia ed opulenza intorno al suo signore.

L’eco di quella vita si sente nella disposizione della poesia morale accanto alla ballata ed al madrigale, dell’esempio morale che pur scaturisce dalla novella erotica smussandone gli spigoli. Quell’eco si sente nell’estensione stessa e nella ricchezza della lingua del Sercambi, che con timbro personalissimo trascorre dall’accento vernacolare del dialogo realistico ai toni allusivi di intonazione dotta che dovevano esser compresi a volo dall’uditorio borghese gravitante attorno ad una corte di origine mercantilesca che si era scoperta delle ambizioni di mecenatismo.

Un uditorio dal gusto soprattutto buontempone e salace (certamente lontano dalle raffinatezze delle corti che sarebbero fiorite decenni più tardi) che poteva apprezzare l’ammiccante narrativa sercambiana fondata specialmente sul nudo e crudo commercio del sesso e della furbizia, che ha scandalizzato ed offeso i benpensanti dell’Otto e Novecento. Sercambi ha certamente la mano pesante; bisogna tuttavia domandarsi se egli in fondo non sia stato la vittima di un tiro birbone, anzi di un vero