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788 nota bio-bibliografica

tradimento perpetrato dagli editori (non escluso il presente) che con tanta diligenza si sono accaniti ad imbandire ad un pubblico sempre più vasto una raccolta forse destinata ad un circolo per uomini soli che si riunivano in cerca di un onesto passatempo durante lunghe e noiose serate. Può ben darsi che il Sercambi si trovi nell’imbarazzante situazione in cui si troverebbe una onorata signora il cui diario segreto venisse improvvisamente trafugato e pubblicato a sua insaputa. Sappiamo che in una lista di libri in possesso dello scrittore compilata dopo la sua morte1 viene annotato «Un libro di nouelle fece Johanni», che rappresenta quasi certamente l’autografo. Ma non sappiamo se esso fosse stato rilegato e curato come i due volumi delle Croniche per apparire degnamente nella biblioteca del Guinigi, se fosse stato curato in modo da essere almeno destinato alla lettura di amici, o se invece avesse una veste ed una destinazione più private.

Il mondo che ritrae il Sercambi è, per molti aspetti, quello comune alla novellistica del Tre e Quattrocento: ma non ingentilito dalle istituzioni borghesi e mercantili com’è quello del Boccaccio, e neppure da quel tepore domestico che traspira dal Trecentonovelle. Il mondo del Sercambi poggia su una brutalità nuda, disincantata, da cui ci si riscatta solo mediante la violenza, o mediante la furbizia, anch’essa una specie di violenza più sottile. In esso perfino l’amore non ha tenerezze. Il solo sentimento che riscaldi questo mondo è quello dell’amicizia, anche se intesa in modo pragmaticamente politico. L’atteggiamento del narratore nei riguardi di questo mondo è quello pessimista e smaliziato del consumato politicante realista per il quale la vita ha ormai svelato i suoi trucchi. Da ciò l’ironia ammiccante che traspare dietro il personaggio o l’episodio e che discretamente sostiene e guida passo passo il racconto, e che irrompe attraverso quegli improvvisi epifonemi mediante i quali il Sercambi entra direttamente nella vicenda ed interloquisce col personaggio2. Una ironia che dissolve in anticipo qualunque attrattiva ideale che gli offriva la tradizione illustre3, o la porta a un grado di tensione che sfiora l’intonazione parodistica4.

  1. Cfr. qui sopra, p. 762, n. 1.
  2. Valgano due esempi: «O Passavanti, che pensi poter tornare in Barsellona a que’ denari: certo veruno ve ne troverai per te, però che Veglio n’avea pochi a consumare!» (nov. lxxxvi, pp. 374-75); «Ma che giova, o monna Appollonia, quello che ricolto avete, ché dapoi arete più freddo che di prima?» (nov. lxxvii, p. 339).
  3. Ad es.: «Avenne quello che Dante mette, che l’amore che al cuor gentile ratto s’aprende, tale amor al cuor d’uno aconciatore di cavalli s’aprese» (cfr. p. 456).
  4. Si legga, ad es., il dialogo fra Dianabella e Giacchetto all’inizio della nov. lxii.