Pagina:Sercambi, Giovanni – Novelle, Vol. II, 1972 – BEIC 1925048.djvu/303

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i. i manoscritti 801

getturare quando non riesce a decifrare, dimostrano chiaramente che ci troviamo davanti ad un apografo. L’autografia del codice è comunque esclusa anche dal confronto fra la grafia del T con quella dei documenti certamente autografi del Sercambi, e cioè la Nota ai Guinigi e le lettere del 1382, su cui si veda la sezione seguente.

D’altra parte, lo sforzo del copista (o copisti) di mantenersi fedele alla lettera del modello (notevole specialmente nella trascrizione di poesie e nei casi in cui T riesce a rettificare qualche errore grafico che appare invece nella redazione delle novelle contenute nelle Croniche), ci sostengono nel ritenere che esso sia un apografo diretto.

Dal confronto poi tra T e le abitudini grafiche note da altri scritti del Sercambi, ci accorgiamo che la grafia è stata nel nostro apografo modernizzata: ad es., i nessi pt (cipta, aceptare, ecc.) e ct (tucto, lectore, ecc.), così caratteristici della scrittura del Sercambi, qui sopravvivono solo in ruderi molto rari. Ci sembra poi che la calligrafia dei titoli latini sia stata influenzata dai caratteri cancellereschi umanistici. Per cui bisogna ritenere che la copia sia stata eseguita a Lucca piuttosto addentro al secolo xv, verso la metà circa di esso.

Altri elementi caratteristici della scrittura di T sono rappresentati dal modo capriccioso in cui appaiono le maiuscole (raramente presenti), e i segni d’interpunzione, per i quali manca qualunque traccia di sistema (presente invece negli autografi).

Il testo contenuto nella c. iv e nella c. ii (r e v) è diviso in regolari paragrafi, ciascuno separato da un doppio spazio e con il capoverso sporgente sul margine. Ma a partire dalla c. iiii, i capoversi appaiono in modo capriccioso in corrispondenza dell’a capo, ma quasi mai coincidendo con esso. Sistemazione suggerita certo dal desiderio di risparmiare tempo e spazio, ma che denunzia trascuratezza nel copista e noncuranza in chi aveva commissionato la copia.

La storia del testo delle Novelle comincia molto tardi, per esser precisi nella seconda metá del sec. xviii, allorché appare la prima testimonianza dell’esistenza di un codice posseduto dall’erudito e bibliofilo lucchese Bernardino Baroni. Questi, in margine alla copia che egli stesso trasse dal voluminoso studio del padre A. Berti, Memorie degli scrittori lucchesi1, nel quale erano ricordate le Croniche del Sercambi, annotava:

  1. Ms. n. 33 della Bibl. Gov. di Lucca. La nota che riportiamo si trova alla c. 295v, sulla colonna destra riservata alle correzioni e postille.